Tazebao, Franco Minelli, Attilio Giovagnoli: "Chi non vuole il Teatro a Rimini" [17.12.1985]

CHI NON VUOLE IL TEATRO A RIMINI 

E’ davvero sorprendente l’avversione che gli amministratori riminesi hanno mostrato in questi 40 anni, e mostrano tuttora, nel battersi contro il recupero filologico dell’ex Teatro Galli. Prima non curandosi di salvaguardare, all’indomani dei bombardamenti della guerra, le strutture ancora solide e recuperabili. Poi arrivando addirittura a provocare con selvagge demolizioni, maggiori danni al teatro di quanti ne avesse prodotti la guerra. Le motivazioni addotte allora, e avallate oggi da pseudo storici locali, per giustificare l’opera di demolizione (la salvaguardia della pubblica incolumità) appaiono francamente ridicole, mentre in realtà il Comune intendeva, in questo modo, liberarsi degli scomodi proprietari dei palchi e delle loro rivendicazioni, nonché utilizzare, per altri scopi, i 50 milioni (del 1948!) stanziati dallo Stato al Comune per i danni di guerra subiti dal teatro. C’è da meravigliarsi, visto come andavano le cose, che qualcosa di questo edificio si sia salvata. Dopo l’inutile concorso bandito dalla Cassa di Risparmio nel ’59 il Comune concedeva l’autorizzazione all’uso della parte demolita come sala fieristica, oggi adibita a palestra. 

Nel’85 l’Amministrazione Comunale bandisce un concorso di idee, per il Teatro Galli e per piazza Malatesta, da molti – anche tra i sostenitori del recupero filologico – accolto come segno positivo del rinnovato interesse del Comune per la soluzione di questo annoso problema. Le cose stanno ben diversamente. L’antica acredine degli amministratori verso questa «ingombrante presenza» si manifesta chiaramente nella nota storica allegata al bando, curata da Pier Giorgio Pasini, che critica apertamente l’ubicazione del teatro, minimizza il valore dell’autore, le qualità architettoniche e la tradizione musicale e di spettacoli dell’opera, tendendo complessivamente a metterne in cattiva luce ogni aspetto sulla base di pretestuose e singolari argomentazioni. Ma ancora più tendenziosa è l’Amministrazione Comunale laddove, nelle stesse norme del bando, indirizza i partecipanti al concorso, se vogliono avere qualche speranza di successo, verso la presentazione di progetti di costruzione ex-novo di un edificio che addirittura potrebbe contenere «spazi connessi da dedicarsi, ad esempio, ad attività didattiche e culturali, commerciali, ricreative, sportive, artigianali». Non si possono dunque che fare fosche previsioni sul futuro del teatro.

Ciò che appare più ingiusto è delegare ad una giuria di 15 persone, non si sa bene selezionate in base a quali criteri – fra le quali tra l’altro non figurano né rappresentanti della Sovrintendenza alle Belle Arti, né scenografi, né direttori d’orchestra, ecc, - la responsabilità di una scelta che riguarda direttamente ogni cittadino, che al solito verrà informato a cose fatte. Qualcuno può sostenere che l’Amministrazione Comunale non sarà vincolata alla realizzazione del progetto vincitore del concorso. Tuttavia è certo che questo concorso costituisce una pesante ipoteca sul futuro del Teatro Galli e che l’Amministrazione ha già deciso quale strada percorrere, che non è certo quella del restauro. Restauro che invece appare per più ragioni la soluzione più valida. Perché quello era il teatro di Rimini ed esiste in buona parte e il suo recupero consente di ricollegarsi alla tradizione e alla storia cittadina, offrendo un’attrattiva turistica di qualità non indifferente oltre che un’occasione di crescita culturale per la cittadinanza.

Perché in questo modo ci si potrà avvalere dei finanziamenti previsti dallo Stato per questo tipo di interventi. La ricostruzione filologica, caldeggiata anche dai responsabili dei beni culturali della Regione e dalla Sovrintendenza nel piano di recupero dei teatri storici della regione, è avvalorata dalla ricca documentazione esistente: piano esecutivo e progetti originali, decine di disegni con particolari architettonici, lettere dell’architetto con indicazioni dettagliate sui materiali e le decorazioni, rilievi del 1926, fotografie, ecc.

Se si vuole davvero che il teatro sia di tutti i cittadini, tutti i cittadini devono poter dire la loro sul teatro.

Arrivati a questo punto, l’unico modo per farlo è concludere in fretta l’infelice e costosa (238 milioni) vicenda del concorso per poi consultare – nelle forme e nei modi più opportuni la cittadinanza sulla scelta da operare. Questo avrebbe dovuto fare fin dall’inizio l’Amministrazione, lo faccia almeno alla fine. 

[Attilio Giovagnoli, Franco Minelli, Tazebao 1, 17 dicembre 1985]