“IL PROGETTO MIGLIORE? RESTA QUELLO ORIGINALE”
“Deve tornare a essere come lo aveva pensato Poletti”
Claudio Abbado dà il suo appoggio
L’omaggio di Verdi. L’opinione di Nicolini e di Giancarlo De Carlo: testimonianze a favore del recupero o mantenendo immutate le caratteristiche di chi lo pensò per primo.
“Aroldo è un’opera di raro valore, di assoluta importanza testimoniale. Ha un’importanza che deve essere ancora valutata appieno e possiede delle novità interessantissime” (Giuseppe Tarozzi – Di quell’amor – da Vita di Giuseppe Verdi). Con questa affermazione Claudio Abbado esaltava il valore sentimentale che lega l’opera verdiana al teatro Comunale di Rimini. Gianandrea Gavazzeni conferma cje “le intuizioni folgoranti e di una straordinaria novità di linguaggio drammatico” dell’opera. Entrambi i noti direttori d’orchestra erano intervenuti sulla vicenda del teatro Galli, esprimendo una loro chiara opinione a favore della ricostruzione filologica del teatro. In esclusiva pubblichiamo in questa pagina queste testimonianze. L’orgoglio del teatro di Rimini è anche quello di portare all’occhiello il fiore più profumato. Giuseppe Verdi, è risaputo, compose espressamente per il teatro riminese (16 agosto 1857) l’opera “Aroldo”, che vide la “prima” dell’opera. Si pensi al valore del riconoscimento considerando l’analogia dell’evento di un teatro poco distante da quello riminese: il teatro di San Marino. Recuperato di recente, anche il teatro di San Marino debuttò con un’opera lirica espressamente composta per quella circostanza nel 1872. Ma sebbene l’Adelinda – questo il titolo di quel lavoro – sia semisconosciuta, la celebrità del suo autore, Agostino Mercuri, non può essere paragonata con quella di Giuseppe Verdi. Aroldo è una trasformazione di un’altra opera di Verdi, dal titolo “Stiffelio”. Trattandosi di un periodo di particolare rinnovamento, Verdi, si lasciò trascinare in alcuni effetti poco efficaci. Il descrittivismo della burrasca nel IV atto è “un esempio di calcolo errato nell’impiego della scenografia a fini drammaturgici, in quanto introduce un’apertura naturalistica affatto estranea alla tinta domestica dei primi tre atti, e che a sua predominava nello “Stiffelio” (Fabrizio Della Seta). Anche le note critiche negative hanno la loro importanza, nel contesto di una così rilevante vicenda culturale.
Ritorniamo ad analizzare la situazione dei teatri vicini a Rimini, così l’architetto Giancarlo De Carlo sottolineò l’intervento di restauro dei teatri di Urbino e Novafeltria: “Ho capito che se dovessi continuare con questa esperienza, proprio per fare progetti al meglio, è essenziale avere la collaborazione di quanti lavorano per e nel teatro, dal compositore al regista, dallo scenografo al coreografo”. Flavio Nicolini, sceneggiatore della Rai, ci riferisce telefonicamente che “pur non vivendo in prima persona la vicenda del teatro Galli, ritengo indispensabile la ricostruzione del Comunale di Rimini”. Qualche incertezza frena il giudizio di Nicolini: “Non so quale futuro possano avere tanti teatri localizzati in così breve distanza” e sul teatro di Santarcangelo: “Si farà presto”. Le polemiche sui finanziamenti statali ai teatri di tradizione non condizionano le ristrutturazioni ed il recupero di teatri “minori”. Citiamo Torre del Lago (omaggio a Puccini), Genova (Carlo Felice e teatro di Corte Lambruschini), Imperia (teatro Cavour), Casale Monferrato.
Anche in Romagna ci si sta adeguando per il restauro di teatri più o meno importanti, come il Masini di Faenza o il Comunale di Cattolica (già conclusi), quelli di Ravenna e di Forlì. Un discorso a parte merita la storia del teatro Delle Muse di Ancona. Leggendone la storia, lo si può confondere con il “Galli”. Proprio quest’anno è stata decisa la sua ricostruzione, con un intervento finanziario di circa 48 miliardi.
Maurizio Rosa
[La Gazzetta di Rimini, 23 marzo 1990]
“NON BISOGNA CONTINUARE A COMMETTERE ERRORI”
Il Comune non può ignorare questo appello corale
Il parere di Marco Cingolani e Attilio Giovagnoli
Marco Cingolani e Attilio Giovagnoli sono da sempre sostenitori del recupero filologico del Galli.
Se la nostra città ha una vita culturale asfittica lo deve i gran parte alla mancanza di quel teatro il cui recupero è quanto mai doveroso e urgente. Ci troviamo in questa penosa situazione perché scontiamo imperdonabili errori del passato, quando si tentarono soluzioni ambiziose, diverse da quella più logica e pratica: il ripristino del teatro come era prima della guerra. Ciò era possibile sin dalla fine del conflitto: i danni provocati dalle bombe al tetto della sala e del palcoscenico erano notevoli, ma tutt’altro che irreparabili. Ma gli amministratori dell’epoca erano di tutt’altro avviso, preoccupati più di demolire che di salvaguardare. Emblematica la distruzione del Kursaal e le forti resistenze opposte perfino al restauro del Tempio Malatestiano. Così fu proprio il Comune a provocare i disastri maggiori al teatro e invece di utilizzare i danni di guerra ricevuti per il ripristino ne mise in opera la frettolosa sciagurata demolizione. Sotto i colpi del piccone sparirono strutture intatte: l’orditura dei palchi, il boccascena, i corridoi, i retropalchi, le scale secondarie, gran parte dei muri laterali, ecc.. Scartare ancor oggi l’ipotesi del ripristino filologico significa giustificare quella scelta e proseguire quella politica. Premettendo che qualsiasi progetto di ricostruzione del teatro dovrebbe limitarsi all’area dell’edificio preesistente, evitando di sconfinare verso la Rocca Malatestiana, di cui non si conosce la zona interrata di pertinenza; riteniamo che il “concorso di idee” sia stato condizionato da un difetto sostanziale: la scarsa o nulla considerazione del valore architettonico del teatro del Poletti. Il Comune doveva imporre a priori il recupero della sala originaria per l’innegabile qualità architettonica e per il rispetto della tradizione cittadina. Non l’ha fatto allora lo faccia almeno oggi. L’architetto modenese, che in questo ambito raggiunge probabilmente i vertici della sua attività, realizzò a Rimini uno fra i teatri più interessanti e significativi dell’Ottocento. L’opinione non è soggettiva, sono i maggiori storici dell’architettura ad affermarlo l’opera è frutto della cultura complessa e variegata del Poletti, che distaccatosi del concetto tradizionale della sala all’italiana, ne propose una riforma del tutto originale. Incastonando i palchi nel peristilio ad “ordine gigante”, progettò una sala di carattere più europeo, allineata a illustri esempi per lo più francesi. Non mancano richiami neopalladiani e precise citazioni stilistiche riprese dal Tempio Malatestiano, per cui il teatro è legato profondamente alla storia e all’architettura di Rimini. A pregi di spazialità ed eleganza Poletti seppe abbinare fruibilità e funzionalità. L’acustica era garantita da accorgimenti studiati accuratamente: la curvatura particolare della volta; l’inserimento all’interno del basamento della cavea di spazi vuoti a imitazione dei vasi sonori dei teatri antichi; la forma stessa della sala, progressivamente sempre più ampia dal basso verso l’alto; la costruzione di una cassa armonica sotto il piano dell’orchestra; la scelta di opportuni materiali. La capienza era ragguardevole, alla pari dei maggiori teatri della regione: 1.200 posti (374 in platea, 300 in loggione, i rimanenti suddivisi fra gli 71 palchi). Riproporre la sala del Poletti non è un vagheggiamento nostalgico, quanto una possibilità concreta e fattibile. Come ha ribadito Pier Luigi Cervellati: “Esiste il progetto e il computo metrico originario, ci sono i particolari costruttivi e decorativi e con il rilievo di quanto ancora rimane confrontato con la documentazione fotografica e storiografica, si ripristinerebbe senza errori, senza “falsi storici”, questo edificio fondamentale per la storia dell’architettura teatrale italiana.
Si sollecita dagli interventi la partecipazione dei cittadini. La cittadinanza potrebbe partecipare al restauro fornendo fotografie, testimonianze, ecc. Per una città che troppo superficialmente ha cancellato le sue memorie l’operazione segnerebbe un’inversione di tendenza salutare. Hanno sottoscritto il ripristino filologico personalità autorevoli: Claudio Abbado, Gianandrea Gavazzeni, Giancarlo Menotti, Glauco Mauri, Renato Bruson, Lucia Valentini Terrani, Federico Zeri. E migliaia di riminesi che hanno aderito alla petizione popolare del Comitato per la ricostruzione. Per il Comune è un dovere tenerne conto.
Marco Cingolani, Attilio Giovagnoli
[La Gazzetta di Rimini, 23 marzo 1990]