PROGETTO TEATRO: QUANT’E’ BELLA SEGRETEZZA…
Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini rispondono “a mitraglia” a quanto affermato da Aldo Villani in merito al Teatro sul N. 236 di “Chiamami Città”. Si può essere d’accordo o meno con le loro opinioni. Se però hanno ragione quando parlano della “segretezza”con cui l’Amministrazione avrebbe condotto l’intera faccenda del terzo progetto Natalini… bene, ci sembra che la pubblica opinione, ancora una volta, abbia ricevuto il suo bravo schiaffo in faccia da un poter fare tranquillamente a meno di lei.
Continuare a rispondere punto per punto alle osservazioni del nostro risentito interlocutore farebbe arenare il dibattito in una sorta di gara a chi riesce a far perdere la faccia all’avversario. Non ci interessa questa gara infantile. Una sola cosa però dobbiamo precisare: non si può inventare la storia. A proposito del vano scale, non è vero che il piano intermedio sia stato eliminato senza il consenso del Poletti, e non è vero che il Poletti abbia abbandonato il cantiere prima della conclusione dell’opera. Noi sottoscritti abbiamo consultato nel corso di mesi le migliaia di documenti conservati nelle oltre 40 buste dell’Archivio Poletti di Modena – Giovagnoli per la sua tesi di laurea e Rimondini per l’opera polettiana di Vergiano – conosciamo assai bene tutta l’ampia e feconda vicenda del cantiere teatrale riminese, che è documentata dal 1839 fino alla strepitosa inaugurazione verdiana. Non ci sono stati abbandoni. Il Poletti ha seguito la costruzione del suo teatro fin nelle minuzie, controllando secondo il costume dei grandi architetti pontifici romani, scultori, stuccatori, pittori, arredatori con disegni d’insieme e dei particolari decorativi. Non riconosciamo dignità di storico a chi si inventa le cose per far quadrare il bilancio delle proprie fantasie. A questo signore potrà non piacere il Poletti e la facciata del suo teatro riminese: “de gustibus”; si tratta infatti della dimensione soggettiva sua e di chiunque altro. Bisogna invece portare delle prove oggettive, relative alla storia culturale del monumento come hanno fatto Manfredo Tafuri e Pier Luigi Cervellati che non hanno pronunciato generici giudizi estetici positivi, ma hanno argomentato: il primo apprezzando le novità formali della sala del teatro riminese – l’innesto articolato della colonnata e dei palchi rientranti - nella storia del tipo del teatro all’italiana; il secondo, quando ha indicato la qualità formale della mano polettiana, avvicinando il “pensiero” di quello stesso spazio interno svasato a gradoni al “continuum spaziale” di Frank Lloyd Wright nel Guggenheim Museum di New York. Non si tratta di suggestioni soggettive generiche ma di storia delle forme.
PER LA TORRE UN PRECEDENTE ILLUSTRE: BABELE!
La stessa cura nel definire il “corpo” e gli spazi il Poletti dimostra anche all’esterno del nostro teatro. Nella sua identità di “purista”, ha cercato di sintetizzare le forme più eleganti del grandissimo, millenario patrimonio del classicismo, preferendo profili e proporzioni elleniche. Ma è ben sua l’eleganza del “profilare”, del modellare il corpo dell’edificio come se fosse una statua da traguardare da molte prospettive. Girate intorno alla facciata e scoprite sia il gioco degli aggetti orizzontali, sia il variare delle verticali. Guardate come la facciata si dimostri docile nell’armonizzarsi alle forme storiche della piazza e come le colonne riprendano le proporzioni gigantesche dei templi della Grecia nel colloquio coi vicini edifici di via Sigismondo. Certamente sulla validità del classicismo, questa costante formale millenaria, “nostra” e mondiale, univoca e insieme poliforma, è aperta una polemica che noi non pretendiamo di concludere. Ci basta affermare che a Rimini è conservato un monumento decisivo dell’ultimo classicismo romano pontificio che non può essere paragonato ad altre apprezzabili opere, come lo Sferisterio di Macerata, che sono solo espressioni di limitati talenti e linguaggi provinciali.
Un’opera tanto importante della storia dell’arte italiana è oggetto, come sappiamo, di completamenti progettuali ormai all’insegna dell’improvvisazione e del pur che sia. Siamo stati informati, finalmente, che è stato presentato alla Soprintendenza di Ravenna il terzo progetto firmato da Natalini. Tagliate le ali e la piattaforma, di “grandioso” al Teatro Natalini
È rimasta solo una torre scenica di 40 metri. Quanto sia legale questa segretezza nella gestione dei progetti e di denaro pubblici, alla faccia della “trasparenza” degli atti di governo, lo lasciamo decidere ai lettori e agli elettori. Ormai siamo alla fine di una vicenda progettuale vergognosa, che ha ignorato fin dal suo nascere la legalità e la salvaguardia dei beni culturali di Rimini del patrimonio archeologico, di CastelSismondo e delle ragioni formali e strutturali del Teatro Polettiano, insistendo con accanimento ossessivo su progetti irrealizzabili. Sarebbe veramente grottesco che da Ravenna arrivasse il placet a questo rimasuglio di teatro.
Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini
ULTIM’ORA
Venuti a conoscenza dell’ultimo progetto di ricostruzione pseudo-moderna del Teatro Comunale Amintore Galli di Rimini, chiediamo che le autorità competenti non autorizzino quest’ultima soluzione.
Essa non riflette, storia, forma e contenuto dell’originale teatro. E’ un’ipotesi progettuale inadeguata quanto banale. Indegna della cultura e dell’arte che hanno caratterizzato Rimini.
Associazione Rimini città d’arte
[Chiamamicittà, 9 gennaio 1998]