Ariminum, Giovanni Rimondini: Prima Castelsismondo, poi "il Poletti" com'era [1.3.1997]

PRIMA CASTEL SISMONDO POI IL “POLETTI” COM’ERA

Perché declassare uno dei quattro maggiori monumenti cittadini?

Di Giovanni Rimondini

Il brutto pasticcio della ricostruzione del Teatro Galli ha inizio con il bando di concorso del 1985. Gli amministratori del tempo rovesciano in modo insensato l’ordine dei valori culturali, prescrivendo in appendice al compimento del principale obiettivo, la ricostruzione del Teatro, uno studio di sistemazione di piazza Malatesta e di Castel Sismondo, la più importante delle fortificazioni malatestiane che coprono un’area geografica interregionale, tra Bertinoro, Borgo S. Sepolcro e Ancona.

La “sua” piazza, piazza Malatesta, è vittima di un pregiudizio diffuso che disprezza il suo spazio irregolare e la considera informe e priva di valore urbanistico. Questo pregiudizio è nato con i piani regolatori degli anni ’30, redatti da operatori che attribuivano valore solo agli spazi urbani regolari e geometrici. L’unico criterio di comprensione di questi urbanisti consisteva nel prevedere allargamenti e rettifili, nel correggere quindi gli andamenti leggermente curvilinei delle vie riminesi.

Leon Battista Alberti, invece, si era espresso in favore di queste tipologie ad ansa di fiume, valorizzando gli spazi irregolari. Ai grandi prospettici del Rinascimento non va attribuito il delirio geometrico degli architetti “giacobini” e dei loro epigoni fascisti e razionalisti. Piazza Malatesta è l’unico spazio urbano dipinto dal vero da Piero della Francesca nell’affresco del Tempio Malatestiano. Il grande pittore rivela la “logica” della piazza: inquadrare la veduta del Castello. La forma originale di piazza Malatesta, ad imbuto, richiama il ventaglio di raggi visivi di un cannocchiale prospettico.

Nel corso dei secoli l’area della piazza è stata diminuita e parzialmente trasformata. Nel secondo decennio dell’800, con il riempimento del fossato del castello, modellato come grande anfiteatro di mattoni, e il seppellimento della prima cinta di mura e torri, la piazza perde le altimetrie quattrocentesche. La prima cinta con lo “spalto” – caratteristica ossidionale tipica dei castelli di Sigismondo Pandolfo Malatesta – formava la “prima rocca”.

Cesare Clementini ricorda che Castel Sismondo era compartimentato in tre rocche. La “seconda rocca” è la parte del Castello che vediamo: ma le sue torri sono state capitozzate dal Valentino e nel ‘600. Una torre è andata distrutta: bisognerebbe ricostruirla. La “terza rocca” era l’alto Mastio, distrutto in epoca imprecisabile.

Nel progetto di ricostruzione del teatro di Adolfo Natalini e soci indigeni, vincitore del concorso, adottato con d.c. nel 1987, si sistemava Castel Sismondo dentro un fossato circolare, scavato nell’area della prima rocca, con imperdonabile disprezzo della storia e dell’integrità del monumento, alla cui ideazione aveva contribuito il sommo Brunelleschi. Il nuovo Teatro, lunghissimo, “strizzato”, con le due ali dell’arena arrivata fin quasi all’ingresso del Castello. Il resto della piazza, trasformato in due rettilinei, veniva destinato alla lottizzazione. Per fortuna esisteva un decreto ministeriale del 1915 che fissava l’area di rispetto del Castello – decreto da me rinvenuto durante lavori di sistemazione dell’archivio della Sovrintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna - .

Il primo progetto Natalini venne respinto dalle Soprintendenza proprio perché violava l’area di rispetto del Castello. Gli stessi architetti ebbero l’incarico per un secondo progetto di rifacimento del Teatro, nel 1994. Ripetendo l’errore che aveva invalidato il primo disegno, questi “impuniti” di nuovo progettavano di invadere l’area “proibita” del Castello, coprendone il fossato (una volta riaperto, come prevede il piano regolatore di benevolo), con una piattaforma lignea sorretta da pilastri in cemento. Fatta propria l’idea invasiva, “futurista” di far costruire il Teatro sopra Castel Sismondo, il sindaco Giuseppe Chicchi, con l’appoggio della minoranza consiliare e le simpatie della redazione cittadina del Carlino, avvicinava notabili romani e ministri dei Beni Culturali per far “saltare” il decreto di protezione del Castello – al quale nel frattempo se ne erano aggiunti altri due; uno della Soprintendenza archeologica; l’altro della Soprintendenza di Ravenna per proteggere ciò che resta del teatro ottocentesco -.

In sostanza, il sindaco si dava da fare per declassare uno dei quattro monumenti cittadini. Si dice, al momento in cui scrivo, che ci sarebbero delle novità circa un terzo progetto di ricostruzione del Teatro.

Personalmente, ritengo che la “naturale” ricostruzione del Teatro Galli sia il ripristino del “pozzo”, cioè della sala originale, e del palco, seguendo i disegni di Luigi Poletti conservati a Modena. La nuova Scuola romana di restauro architettonico di Paolo Marconi sostiene, con una bella immagine musicale, che i disegni di un’opera architettonica sono come uno spartito musicale: possono essere “eseguiti” più volte. L’architettura di un teatro d’opera italiano, del resto, è come la struttura di un violino, va riprodotta come vuole la tradizione e non reinventata secondo i capricci degli architetti.

Così è stato fatto per la Scala, e così si farà per la Fenice.

Giovanni Rimondini

[Giovanni Rimondini, Prima Castel Sismondo poi il “Poletti” com’era, Ariminum, (Rimini) III- aprile 1997].