UN TEATRO WAGNERIANO? ROBA DA FAR DIVENTARE VERDI UN MUCCHIO DI RIMINESI
Di Nedo Zavoli
Nella varietà di sindaci, in verità tutti uguali o quasi , che si sono “abbattuti” su Rimini dal dopoguerra a questo fine secolo, c’è anche Giuseppe Chicchi che, per differenziarsi dagli altri, vuole legare il suo nome anche alla ricostruzione del teatro. E fino qui il sindaco avrebbe centrato il bersaglio giusto per assicurarsi le simpatie dei cittadini dalla quale si potrebbe aspettare futuri successi di carriera politica. Ma l’intoppo sta nel decalogo che dovrebbe guidare la realizzazione dell’opera: teatro wagneriano, 1.000 posti (almeno), tenendo conto – si spera, visto i precedenti – che il pubblico ha anche le gambe, e il progetto (ancora sconosciuto alla città) di Adolfo Natalini e suoi collaboratori, non gradito ad una associazione “Rimini Città d’Arte” destinata a fare il pieno di adesioni di quei cittadini che hanno a cuore un Vittorio Emanuele o un Amintore Galli (è pressoché uguale) “com’era e dov’era” confortati anche dal sostegno di prestigiosi nomi del mondo della cultura e dell’arte.
I frequentatori di teatro, numerosissimi anche a Rimini, sanno quanta suggestione e altro viene a mancare in un teatro “alla moderna” al quale impropriamente si è dato il nome di wagneriano come se in Germania, in Austria, in Russia e poi un po’ in tutto il mondo, quelli più amati e in gran parte ricostruiti dopo la guerra non godessero dell’appellativo “all’italiana”. In un gioco di confronto si potrebbe ipotizzare la rappresentazione della stessa opera, per lo stesso pubblico, con gli stessi esecutori in ognuna delle componenti lo spettacolo, nel Teatro Comunale di Firenze, che il sindaco Chicchi chiamerebbe wagneriano per essere stato costruito, come intende lui, nei primi anni cinquanta del nostro secolo e, magari, il giorno dopo, nel Comunale di Bologna che nasce dai Bibbiena ed ha la sua definitiva sistemazione tra il XVIII e il XIX secolo raggiungendo uno dei vertici più alti di architettura teatrale.
E’ fuori di dubbio che per acustica, per suggestione, e per quelle emozioni che il melodramma recupera anche dall’ambiente in cui viene proposto, il teatro di Bologna avrebbe i maggiori consensi. I fiorentini sono pienamente consapevoli di non poter reggere la gara, ma almeno si consolano con il loro bel “Teatro alla Pergola”. Al peggio sono condannati i torinesi e i genovesi che stanno già studiando di modificare i loro teatroni moderni per renderli idonei a spettacoli di qualità. Ah, quella torre scenica del Carlo Felice che incombe mostruosamente su tutta Genova, non fa pensare, con un brivido, ad una simile struttura che potrebbe essere costruita in piazza Malatesta a pochi passi da Castelsismondo?
Ricordiamoci che nessuno ancora ci perdona quel peccato di nome grattacielo. Ma per conforto dei cittadini sembra che le soprintendenze di pertinenza non dormano e non abbiano neanche influenza le amicizie e gli abbracci politici. Renata Tebaldi che la sa lunga in fatto di teatri, in un recente incontro con alcuni membri dell’associazione “Rimini città d’arte” di cui è presidente onorario, ha messo in luce il problema dei grandi teatri che richiedono organici orchestrali così sostenuti da oscurare la voce umana se non vengono usati quei sistemi di amplificazione ormai disinvoltamente utilizzati nelle arene e anche negli stadi (vedi anche i concerti dei tenorissimi) che con gli avvenimenti artistici non hanno nulla da spartire. Ma, già, il pericolo del grande teatro da noi è scongiurato dopo lo spiedino di bocciature per i progetti presentati.
Ora la differenza fra il Natalini e il Poletti adeguato alle nuove norme di prevenzione si aggira sui 100 posti. Poi se, pur indirettamente, si vuole associare al nuovo teatro di Rimini il nome di Wagner al quale va tutta la nostra ammirazione, sarà bene anche tener conto di un debito di riconoscenza che noi riminesi abbiamo nei confronti di Verdi che scelse la nostra città, unica nell’intera regione (anche Bologna e Parma rimasero sempre escluse dalle prime del maestro), per far nascere una nuova opera.
Com’è noto trattasi dell’Aroldo che nel 1857 inaugurò il nuovo comunale. E qui, ecco ancora il destino di Rimini come luogo di incontri, si tenne anche a battesimo l’amicizia tra Verdi e Angelo Mariani chiamato a dirigere l’orchestra della prima stagione lirica nel neonato teatro. Un’affettuosa amicizia fatta di frequenti incontri, di collaborazioni importanti, fino a quando la bella Teresa Stolz, il più celebre soprano del momento, legata sentimentalmente a Mariani, sembrò accettare le profferte amorose di verdi facendo nascere un sentimento di vendetta nell’animo del tradito, E’ il leit-motiv di tanti drammoni ottocenteschi che diviene realtà, ma questa volta al posto di un duello o di una fattura elaborata nell’antro di una Ulrica o di una Azucena perché troppo amiche di Verdi è in una sottile azione culturale che Mariani cerca la sua soddisfazione.
Prima ancora dell’Aida con la sua marcia trionfale è Wagner a scendere in Italia, con squilli di trombe antiverdiani guidati da Mariani, per essere proposto a Bologna, ben disposta a fare un dispetto a Verdi per la questione riminese, divenendo, oltre che grassa e dotta, anche wagneriana ma con l’utilizzo di quel teatro comunale che più italiano di così non si potrebbe immaginare. Ma dopo tutte le ragioni per le quali chi ama e chi frequenta i teatri sa di dover aderire al “dov’era e com’era” è doveroso aggiungere la necessità di un recupero per la città che va oltre il caso specifico e si dimensiona nella volontà di risarcire almeno in piccola parte, i danni subìti.
Nedo Zavoli
[Nedo Zavoli, Un Teatro wagneriano? Roba da far diventare Verdi un mucchio di riminesi…, Chiamamicittà, (Rimini),(17-23 dicembre 1997)].