Ariminum, Giovanni Rimondini: Il Teatro del Poletti. Bellezza assoluta (3) [10.4.2015]

BELLEZZA ASSOLUTA

Il Teatro di Luigi Poletti 

di Giovanni Rimondini

 Luigi Poletti (Modena 1792 - Milano 1869), l’ultimo dei grandi architetti pontifici, è stato per lungo tempo svalutato dagli storici dell’architettura che criticavano soprattutto la ricostruzione della Basilica di San Paolo, che giudicavano elegante, “ma fredda”, mentre erano in genere meno duri nei giudizi sui tre teatri, quello di Terni - non più esistente -, di Fano - ricostruito - e soprattutto di Rimini. Dagli anni ‘70 del secolo passato il giudizio sull’architetto è cambiato ed è tornato ad essere positivo come quando il Poletti operava nella Roma di Gregorio XVI e di Pio IX. Della poetica del Poletti, del suo linguaggio poetico, una forma di classicismo che viene definita “Purismo” per la scelta di forme classiche eleganti scelta dalla tradizione ellenica, ci siamo occupati Attilio Giovagnoli e lo scrivente per il progetto di Vittorio Sgarbi e del Soprintendente regionale Elio Garzillo, attuato da Pier Luigi CervellatiAl Poletti interessava che il suo pubblico sapesse valutare e gustare le forme delle strutture scelte, che disegnava con cura meticolosa, e metteva in opera nei suoi progetti. Voleva che fossero ammirate fin nei dettagli. Guidò pertanto la mano di Genesio Morandi nella pubblicazione di un testo sul teatro uscita nell’anno dell’inaugurazione 1857.

 I greci, la colonna, i capitelli e le decorazioni.

Un capolavoro del Poletti promette bene in fatto di emozioni estetiche, che l’architetto si preoccupa di far scoprire al suo direttore dei lavori, Giovanni Benedettini e ai suoi interlocutori dell’amministrazione riminese. Per cominciare, le sue fonti sono i più bei templi dell’Ellade: il tempio di Atena a Priene per le colonne ioniche del primo ordine. Per creare una colonna era necessario un disegno complessivo di quelli che sapeva fare lui, poi un paio di profili di capitello in grandezza uno a uno, e ancora un modello di gesso, infine l’architetto permetteva che si lasciasse pure la traduzione in pietra d’Istria - ma per risparmiare si usava, di nascosto, anche il calcare di San Marino della grana più fine - a Liguorio Frioli, scalpellino e scultore con la bottega a Rimini.

Un edificio si guarda come si ammira un statua, girandogli intorno e cercando effetti previsti dall’autore nelle varie fasi del movimento, nel diradarsi e nel sovrapporsi delle colonne e delle altre masse. Certo la colonna è il “punto di sella” di un edificio classico, cioè il punto di contatto della chiarezza della coscienza e delle emozioni profonde dell’inconscio. Il Poletti ha concentrato tutto il suo lavoro cosciente e le sue emozioni profonde nella creazione della colonna. E il capitello è rispetto alla colonna quello che il viso è rispetto al corpo. Bisogna guardarlo di fronte, di profilo, di tre quarti… come si prova piacere guardando a un bel corpo e a un bel volto, così si hanno intense emozioni estetiche girando intorno a un bell’edificio.

 

“Il contornare del Poletti è magnifico”.

Guardate alla facciata in posizione “di maestà”, cioè di fronte, e poi al profilo o contorno della facciata, non è banalmente verticale, ma ha delle rientranze e delle sporgenze, come il profilo di una testa. L’esterno dell’edificio segue un’ideale linea obliqua piramidale, le varie parti si restringono verso l’alto. Al contrario, i profili dell’interno del pozzetto si aprivano a catino verso il grande velario che copriva con la sua curva misteriosa, preparata dal Poletti in segreto, con e sue mani, insieme ai carpentieri. Anche i profili orizzontali, i rilievi delle modanature si presentavano in diverse prospettive all’avvicinarsi e all’arretrare.

Tanto splendore nella ricostruzione dell’interno rischia di essere banalizzato in carton gesso dalle ditte che vincono gli appalti con eccessivi ribassi. Per avere il meglio, bisogna invece trovare un serie di artigiani specializzati, come s’è fatto per la ricostruzione della Fenice.

 

L’iconologia: un tempio di Apollo.

In alto sul piccolo frontone - o timpano, ossia triangolo - due Grifoni e una Cetra. I grifoni sono animali fantastici, dell’epoca del caos delle forme - l’epoca dei sogni - parte leone e parte aquila, nei racconti mitologici custodivano i tesori di Apollo. La Cetra, inventata dal giovane Ermes, che i Romani chiamavano Mercurio, indica le competenze musicale e poetica del dio.

Il Poletti aveva disegnato un frontone grande, lungo quanto la larghezza della facciata, e al suo interno, una composizione di statue e bassorilievi con Apollo, le muse e altri personaggi. Ma a farlo restringere era intervenuto il cardinale legato, piccato perché il notabile Audiface Diotallevi l’aveva scavalcato facendo intervenire le sue conoscenze romane del governo centrale. Il frontone rimpicciolito comunque manda il messaggio iconologia principale: siamo di fronte al tempio di Apollo dio della musica e della poesia. 

La facciata del teatro è in piena luce, e si fa vedere al meglio, la mattina presto quando riceve i raggi del sole, poi nella tarda mattinata è già in ombra. La luce notturna ai tempi del Poletti - quando non era ancora in uso l’impianto del gas per l’illuminazione pubblica, con i suoi candelabri esterni, sotto la loggia - era riservata all’interno e filtrava dal portico e dalle logge superiori.

Non era molto intensa, come l’illuminazione a cui siamo abituati, e quindi sfumava le forme, che comunque venivano percepite da un occhio abituato all’oscurità. Oggi l’illuminazione forte dal basso, mettendo in risalto il sotto delle strutture orizzontali, ha un effetto da film dell’orrore, come l’illuminazione dal basso di una faccia.

Diceva Michelangelo che bisognava avere le seste - ossia i compassi - nell’occhio. E’ vero per giudicare e gustare un edificio classico bisogna “vederne” le figure geometriche sottese, saper valutare le proporzioni modulari geometriche, antropomorfe e cosmiche.

Giovanni Rimondini

 

Note:

(1) Attilio Giovagnoli, Giovanni Rimondini, Documentazione per il ripristino filologico del teatro polettiano di Rimini, una     copia in Gambalunga.

(2) Genesio Morandi, Il teatro di Rimini (1857), a cura di Giovanni Rimondini, riedizione di Giovanni Luisè, Rimini 2000.

(3) Silvia Vezzardelli, Io mi lascio cadere. Estetica e psicoanalisi, Quodlibet, Macerata 2014. 

 

[Ariminum, Anno XXII, N.2, Marzo – Aprile 2015]