Stefano Marchetti, Luigi Poletti, recensione della mostra di Modena [27.11.1992]

MODENA RENDE OMAGGIO A LUIGI POLETTI, L’ARCHITETTO VATICANO CHE LAVORO’ UN PO’ D’APPERTUTTO TRANNE CHE NELLA PROPRIA CITTA’

Servizio di Stefano Marchetti

Modena – Raccontano che la morte lo colse nell’agosto del 1869, proprio mentre faceva la spola tra Roma e il lago Maggiore, alla ricerca dei marmi migliori, quelli dalle venature più fini e delicate, per arricchire e adornare la – sua- basilica di san paolo. Perfezionista fino all’ultimo, l’architetto Luigi Poletti, un modenese alla –corte- del Papa, nell’epoca dei grandi moti di popolo e delle trasformazioni che hanno fatto l’Italia.

Costruttore, archeologo, erudito, e perfino mecenate, a Poletti, nel bicentenario della nascita, la città di Modena dedica una grande mostra, che si tiene fino al 6 dicembre nelle sale espositive al piano terra del palazzo municipale in piazza Grande. La mostra promossa dall’assessorato comunale alla cultura, si avvale anche della collaborazione dei Comuni di Fano e Terni (dove l’esposizione verrà riproposta tra febbraio e maggio 1993), e del supporto scientifico delle Facoltà di architettura dell’università di Firenze e del politecnico di Milano. Di Poletti, vengono proposti in un suggestivo percorso oltre 120 disegni e prohgetti autografati (molti dei quali acquerellati), con il corredo di documenti e fotografie d’epoca che rendono –a tutto tondo- le dimensioni di un fervido impegno inventivo e tecnico. Ci sono poi i modelli in scala, tra cui un piccolo plastico originale del teatro di terni, risalente al 1840 circa.

A Roma molti angoli suggestivi rendono dal vivo testimonianza della sua opera: è sua –creatura- la colonna dell’Immacolata Concezione in piazza di Spagna (1855-57), per la quale egli utilizzò un antico fusto di colonna già presente nel palazzo di Montecitorio, è suo il Collegio scozzese (1861), ma soprattutto è sua un’impresa imponente e quasi proibitiva, la ricostruzione della basilica di San Paolo fuori le mura, che era stata devastata nel 1823 da un rovinoso incendio. L’architetto si accinse a quest’opera lungo 36 anni, dal 1833 fino alla morte, e non riuscì a vedere ultimato il cantiere.

Portano poi la sigla di Poletti i teatri di Fano e di Terni e anche il teatro di Rimini, distrutto durante l’ultima guerra mondiale. Ma a Modena, la città che gli diede i natali giusto due secoli fa, non c’è un palazzo, e neppure un monumento “firmato” da lui: eppure qui sono rimasti in eredità i suoi disegni e progetti, la sua ricchissima raccolta iconografica di stampe e foto, la sua notevole collezione di testi di ingegneria, matematica, che costituiscono il “corpus” dell’unica biblioteca civica italiana di storia dell’arte (la biblioteca Poletti appunto). Nel suo testamento dispose anche per la sua città un lascito destinato a sostenere gli studi e le opere di giovani architetti e artisti. Poletti tuttavia rimase a Modena ben pochi anni, e – strani i giochi della sorte – fu proprio per interessamento del duca Francesco IV d’Este che nel 1818 il novello “ingegnere” riuscì a conquistare una borsa di studio a Roma, il primo passo di un legame con l’Urbe e lo Stato pontificio che sarebbe diventato sempre più stretto.

A Roma, Poletti entrò in contatto con gli architetti Raffaello Stern e Giuseppe e Giulio Camporese, che dirigevano i più importanti cantieri nella città dei Papi. E nel giovane architetto la precisione del restauro divenne l’imperativo categorico: tanto è vero che, dal 1829 in poi, gli alti prelati delle stanze apostoliche gli affidarono sempre più numerosi incarichi legati a interventi di ricostruzione o completamenti di chiese e basiliche dello Stato pontificio, come il tempio della Consolazione di Todi.

La cultura del rigore si esprime al massimo proprio nell’impresa della ricostruzione della basilica di san Paolo. L’architetto fu chiamato a consolidare la volta della navata centrale, e a ripristinare la copertura , le navate e la facciata, e pure la morte gli impedì di vede completata l’intera opera. Parallelamente alle opere per Gregorio XVI, prima, e Pio IX, poi, Poletti si dedicò anche allo studio e alla progettazione di teatri e si occupò anche dell’ “effimero” con la costruzione di gigantesche “girandole”, grandi costruzioni che dovevano celebrare la gloria e la magnificenza dei papi in occasioni e cerimonie speciali: le cronache ricordano le grandi facciate di chiese ricostruite che si “incendiavano” in un tripudio di petardi e fuochi d’artificio colorati.

A Modena non tornò più, se non saltuariamente. Nel 1823, ormai inserito nell’ambiente romano e forse deluso nella sua speranza di essere nominato architetto duca, aveva perfino rifiutato la cattedra di architettura all’Accademia di Belle arti, che il duca di Modena gli aveva proposto. Eppure per Modena nel 1821 l’architetto Poletti studiò un teatro, l’idea per una nuova sala di spettacoli che venne pure esposta nelle sale dell’Acacdemia romana: ne redasse il progetto e ne consegnò un esemplare al duca. Ma come Poletti avesse immaginato il teatro della sua città, resta un mistero. Di quei disegni infatti non c’è più traccia. Volatilizzati. Poletti ne aveva eseguito anche una copia e l’aveva spedita in Brasile, a un suo conoscente: ma il piroscafo che trasportava l’incartamento colò a picco nell’oceano. E anche il progetto del nuovo teatro di Modena affondò a cento metri di profondità.

Stefano Marchetti

[Stefano Marchetti, Tutto chiesa e teatro, Il Resto del Carlino, (venerdì 27 novembre 1992)].