Girotondo per un teatro
Di Sergio Frau
Rimini
Oggi pomeriggio, dalle 15 in poi, gli faranno la festa centinaia di mani – forse migliaia – allacciate, le une alle altre, a circondare con un girotondo di rabbia il Galli, il maestoso fossile che – nel cuore della città vecchia – aspetta solo di risorgere.
«Dov’era! Com’era!» è lo slogan-diktat che mezza Rimini ha coniato per salvare il suo teatro –—un tardo neoclassico, purista— dal progettone veteromodernista da 62 miliardi che giura di farne un kolossal da spettacolo nuovo di zecca per il Duemila.
L’altra metà di Rimini se ne fotte. Anzi, la giunta ha appena confermato la ristrutturazione dura di quei suoi spazi: una storia infinita di bombe prima, burocrazia, progetti, interessi, varianti e parcelle che, solo a seguirne le tappe, altro che via crucis, ché lì, almeno, le stazioni erano soltanto 12… Qui, invece, è più di mezzo secolo che si soffre.
Non aveva ancora 90 anni quando lo sventrarono. Che notte quella notte, il 23 settembre del ’43… Il centro di Rimini, quello tirato su con la poesia e i soldi che il Medio Evo sapeva mettere nei suoi edifici, venne giù sotto le bombe degli alleati. Al teatro Galli, però era andata bene… La bomba gli era entrata dal tetto ed era esplosa toccando appena la platea e devastando il palcoscenico ma risparmiando molti dei suoi antichi decori, il velluto rosso, gli stucchi d’oro, le poltroncine e i palchi intagliati. Tutta salva la facciata con le grandi colonne e l’androne dagli spazi possenti. Dalla buca per l’orchestra in là, però, una macabra ustione, subito dietro una voragine.
Era davvero bello il Galli, quand’era vivo… era piaciuto persino a Verdi. Mica solo un fatto di estetica… Era l’acustica il suo portento. Era quella che aveva affascinato il Maestro in tournée qui nell’agosto del 1857 a rappresentare l’Aroldo, riscritto apposta per battezzare il teatro che allora si chiamò Vittorio Emanuele II. La sala stupì tutti: faceva da splendida cassa armonica per le voci dei cantanti, riusciva a farle rimbalzare a perfezione insieme alle onde sonore degli strumenti per poi riavvolgerle sul pubblico che da queste parti la musica sa davvero cos’è.
E che trionfo quella notte… Era metà agosto. Scrissero: «… le parole vengono meno a descrivere con quale enfatico trasporto siano state accolte le nuove ispirazioni del cigno di Busseto. Dalla sinfonia alla scena finale fu una continua ovazione».
Ancora oggi c’è chi —come il professor Lorenzo Bianconi, docente di musica e spettacolo all’Università di Bologna— sogna di ricostruire quei miracoli di acustica in laboratorio: una simulazione virtuale al computer per analizzare e succhiar via dai progetti di luigi Poletti, l’architetto che lo costruì, la sapienza antica che era riuscito a mettere in quel teatro. Farlo non sarebbe poi così difficile: a parte una marea di nitidissime foto d’anteguerra, negli archivi di Modena c’è tutto quel che serve. Non solo il progetto esecutivo del Poletti ma anche disegni, schizzi, appunti di diario dei lavori, variazioni in corso d’opera. E proprio dal progetto e dai suoi scritti saltano fuori i suoi comandamenti. Li ha studiati per bene Attilio Giovagnoli che, preparando la tesi, s’innamorò dell’architetto e dei suoi tre teatri (Terni, Fano, Rimini) e che, pur di salvare quello riminese, riuscì a coinvolgere Federico Zeri portandolo dalla sua: «Alla vista del nuovo progetto Zeri inorridì, promise che ne avrebbe parlato con Veltroni, lo fece. Poi, però… Il Poletti era un vero artista dell’acustica. Il suo mito era Vitruvio ma era anche sperimentalista: per 16 anni studiò i teatri d’Europa e gli scritti degli antichi. Divenne un mago dell’armonia… E ora, propro oggi che finalmente si parla dell’acustica come un bene culturale da proteggere, noi qui, stiamo per rinunciare per sempre al capolavoro del più grande architetto teatrale del’800… L’unico che in Italia ci abbia lasciato norme certe e indicazioni precise sul modo di costruire per meglio far vedere e chiaramente far sentire».
Insomma basterebbe obbedire di nuovo a queste norme e attraverso buoni computer… E’ quasi grottesco, però, che — mentre nelle facoltà di teatro si continua a ragionare sul come ricostruire in virtuale i miracoli acustici del Teatrone riminese — a Rimini, intanto, la realtà progettuale abbia preso forma in maniera del tutto differente.
Un concorso vinto da Adolfo Natalini (con dei soci) nella primavera del 1986, che da allora continua a esser rimaneggiato a pagamento (cinque miliardi, finora), prevede di ricostruire il retro distrutto del teatro ampliandolo con forme e modi vagamente evocativi dello stile del Poletti all’esterno, completamente differenti, modernissimi, all’interno.
Per far quadrare questo progettone azzardato (che regalerebbe due grandi ali da costruire ai fianchi del teatro) con il piano regolatore di salvaguardia del centro storico che, invece, proibiva di allargarsi lì in zona — così vicina alla Rocca Malatestiana com’è — ci fu addirittura un viaggio a Roma del sindaco. Era il 1996. Ed era un martedì 17 settembre di quell’anno, quando i vincoli saltarono: il Ministero dei Beni Culturali disse sì alle novità!
Giorno infausto per tutti coloro che, ormai da anni, chiedevano il teatro «dov’era, com’era». E’ stupefacente vedere quanto questi riminesi che si preoccupano, quelli della catena umana di oggi. La maggior parte di loro, paradossalmente, in quel teatro quando funzionava non ha mai messo piede: neanche era nata quando venne colpito. Eppure – sarà perché la guerra qui ha fatto fuori l’85 per cento delle costruzioni antiche, o sarà perché il teatro Galli è l’unico edificio ottocentesco ancora su – per il nuovo pro gettone fanno una tragedia. Poeti (come Rosita Copioli, premio Viareggio nel ’79), musicologi (come Emilio sala), artisti, editori e più ventimila firme di gente comune, e in più la solidarietà strillata di quelli dello Spettacolo, del Belcanto… testimonianze raccolte, con tigna, negli anni che dovrebbero far riflettere, se non altro il Ministero, che però la sua ultima parola — quell’incauto sì — l’ha già detta. Gianandrea Gavazzeni mise nero su bianco, fin dall’inizio, nell’85: «Ritengo assolutamente impropria e inopportuna l’idea di bandire un concorso per un teatro di caratteri e strutture “moderne”. Il ripristino del progetto originale s’impone non solo per motivi di pregio architettonico e decorativo ma anche per tradizione storica». E Antonio Tonini, trent’anni di Scala alle spalle: «Mi sembra un delitto. Se si desidera realizzare un auditorium lo si progetti ex novo!». Tecnico, Dario Fo: «Il cemento armato è il principale nemico dell’acustica. Ricordiamoci che le sale all’italiana sono straordinarie non solo per l’acustica ma anche per l’atmosfera unica che riescono a creare al loro interno». E Renata Tebaldi, cuore in mano e carta intestata, alla Melandri: «La prego di intervenire per impedire che il Teatro Galli venga stravolto da un progetto totalmente diverso dall’originale che trasforma la precedente splendida sala in una banale gradinata adatta più a congressi che al teatro o alla musica». E via — tutti durissimi — Sgarbi, Cervellati, Luciano Canfora, Carlo Bo, Andrea Emiliani, Giulia Maria Mozzoni Crespi, Bruno Cagli dell’Accademia di Santa Cecilia. Persino l’assessore alla cultura di Rimini, Stefano Pivato, è contro. Il più diretto ed efficace? Il più riminese? Senza dubbio l’editore Bruno Chigi, classe 1922: «Parliamoci chiaro: è un mostro! Non si può costruire un affare ridicolo come questo: con la faccia del Poletti e il culo di Natalini… ».
Uscirne? Cambiare? Pentirsi? Scendere da questo che tutti definiscono un treno in corsa? E’ ancora possibile. La Soprintendenza archeologica di qui ha messo in conto di sbancare il terreno sotto il palcoscenico spostando nel museo i mosaici romani riaffiorati là sotto con i primi scavi; altre ispezioni si faranno sotto quella che fino al 1943 era la platea. Proprio bucando lì —nel suo progetto iniziale— Natalini prevedeva di ricavare cinque piani sotterranei: uno spazio molto, molto maggiore dei 2000 metri quadri che le due ali laterali nuove di zecca apporterebbero. E per la sala? A Rimini non hanno dubbi: «All’antica! All’italiana! Natalini si associ con il Poletti: prenda in mano quei suoi antichi, sapienti progetti e — con un po’ di umiltà — si metta a studiare, a copiare».
Sergio Frau
[Sergio Frau, Girotondo per un teatro, La Repubblica, 22 gennaio 2000, pag. 39].