BRUNELLESCHI, ECCO LE PROVE
Di Giovanni Rimondini
Si può affermare con rigore storico e critico che Filippo Brunelleschi sia stato l’autore di Castel Sismondo, e non un semplice consulente, sulla base di prove documentali e letterarie, letture di storici dell’architettura e indizi concreti. Il grosso delle prove documentali lo ha pubblicato nel 1980 Gastone Petrini: “Filippo di ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte di Firenze 28 agosto e torna 22 ottobre 1438”. E’ il permesso di assentarsi dal cantiere fiorentino, concesso dall’Operaio del duomo. Il Petrini ha rintracciato l’itinerario dei “55 giorni malatestiani” del 1438, ma si affretta a dire che “i viaggi compiuti dal Brunelleschi per i Malatesta furono quasi certamente più di uno, è però questo un argomento ancora tutto da indagare”.
Cosa venne a fare il Brunelleschi più volte a Rimini, e a Fano, a Cesena, a Pesaro e in altri castelli malatestiani? C’era bisogno che il più grande architetto italiano di tutti i tempi si distogliesse dal cantiere della cupola per semplici consulenze? Il suo biografo Antonio Manetti (1423-1497), matematico e architetto che lo conobbe e gli parlò, nell’operetta De viri illustri di Firenze, scrive: “Egli edificò uno castello, fortezza mirabile al Signore Gismondo di Rimino”. L’operetta del Manetti fu pubblicata da Gaetano Milanesi nel 1887. In nota al brano citato, il Milanesi avverte che ha chiesto lumi agli “studiosi riminesi”, la cui risposta perentoria è stata che il castello era opera di Sigismondo Pandolfo” assai intendente e pratico dell’architettura militare”. Probabilmente il Milanesi ebbe uno scambio di lettere con Carlo Tonini, che non vide la grande occasione di recupero di un’opera brunelleschiana per Rimini, e tentò una mediazione: “per mettere d’accordo le due contrarie opinioni degli studiosi suddetti e del nostro Manetti, si potrebbe dire che il Malatesta mandasse il disegno del castello al Brunelleschi, richiedendogli pareri e consigli”. Probabilmente gli “studiosi riminesi” avevano in mente l’affermazione di Roberto Valturio che Sigismondo era l’auctor del castello. Ma auctor va inteso all’antica, non significa architetto ma “committente”. In ogni caso, trattandosi di architettura ossidionale, è ovvio che il Signore, necessariamente esperto di fortificazioni nell’insieme e nei dettagli, avesse sempre l’ultima parola. Nella breve notizia del Manetti però c’è un’affermazione precisa: il Brunelleschi “edificò uno castello…”; non diede consigli, non offrì consulenze e simili.
Si pone dunque il vero problema storico e critico della verifica di questa affermazione, il problema cioè della’autoria brunelleschiana di Castel Sismondo. “Nel 1436 il diciannovenne Sigismondo, Signore di Rimini e Fano, che aveva già al suo attivo prestigiose imprese militari, si trovava a Firenze… sin dal 17 marzo per la solenne inaugurazione della cupola da parte di papa Eugenio IV avvenuta la domenica del 25 marzo” prosegue Gastone Petrini , suggerendo la possibilità dell’incontro di Sigismondo col Brunelleschi prima dell’apertura del cantiere del castello riminese, ipotesi che aveva già avanzato il nostro Gumberto Zavagli (1968). Nel 1976 (e 1989), il famoso storico dell’architettura Eugenio Battisti, nella sua opera sul Brunelleschi, sul nostro castello afferma: ”Un nucleo centrale con la porta sembra autografo già al solo confronto con Malmantile, Staggia e Vico pisano, che ne sono l’immediato Precedente”. Il Battisti, storico dell’architettura, deve saper riconoscere il visus brunelleschiano, per così dire, di un’opera, come uno storico dell’arte sa riconoscere una tavola del beato Angelico, per fare un esempio. Peccato che le fortificazioni, attribuite al Brunelleschi, che servono al Battisti per i confronti, siano tutte medievali. Le fortificazioni di Pisa sono andate perdute, l’unica opera militare del Brunelleschi sopravvissuta, se si riesce a dimostrarne la paternità, è il nostro castello.
In un mio piccolo contributo al passato convegno su Castel Sismondo, ho esibito due indizi che convergono nell’indicare il Brunelleschi come autore di Castel Sismondo. Sono indizi vitruviani; uno è prospettico, del tipo di prospettiva ad un unico centro visivo, euclideo e tolemaico, che venne inventata dal Brunelleschi nel 1414 circa, e praticata a Firenze dai suoi amici Masaccio e Donatello. Nella stessa Firenze, si badi, di Paolo Uccello e Lorenzo Ghiberti indagavano sistemi prospettici diversi da quello che verrà chiamato “legittimo”, a due coni visivi. Brevemente, ho ipotizzato che Brunelleschi, seguendo le prescrizioni di Vitruvio, avesse preparato per il castello di Sigismondo tre disegni: la pianta, l’alzato e la scenographia, ossia la veduta prospettica. Gli originali dei disegni sono andati perduti; sono rimaste delle riproduzioni, delle citazioni, dei riflessi sia pure approssimativi? Penso di sì: la scenographia, ossia la veduta prospettica brunelleschiana, il terzo disegno, caratterizzata da un preciso ludus euclideo dell’angolo di rimpicciolimento (una finezza prospettica che fa coincidere nella veduta le linee dei bordi del mastio con quelle delle due torri laterali) è ricostruibile, a mio avviso, a partire dalla medaglia di Matteo de Pasti con la veduta del castello, dalla rappresentazione del castello della formella del cancro di Agostino di Duccio e dalla rappresentazione dell’oculo di Piero della Francesca nell’affresco del Tempio, opere di diverso valore artistico comprese tra il 1446 e il 1551 che presentano lo stesso gioco prospettico. Il primo disegno si ricava dalla pianta del castello attualmente visibile. Analizzando la pianta apparentemente irregolare del castello mi è venuto di tracciare, aderendo alla parti verticali dell’ala di Isotta e del torrione verso il Marecchia, un perfetto quadrato, e fatto girare un compasso all’interno del quadrato ne è uscito un cerchio strutturante, cioè che delimita i siti delle torri esterne (quella distrutta probabilmente collima con il lato del quadrato). Si tratta di un corpo architettonico che va paragonato al corpo umano, inscritto, come indica Vitruvio, e come poi verrà rappresentato da Francesco di Giorgio e da Leonardo tra i tanti, in un cerchio e in un quadrato, che conferiscono ai corpi proprietà cosmologiche e metafisiche.
Castel Sismondo, rocca ad quadratum et ad circulum, è stato ovviamente quanto meno disegnato in modo meno unitario da un solo architetto, che aveva letto il De Architectura di Vitruvio, e potrebbe essere il Brunelleschi. La sua veduta prospettica, testimoniata dalla medaglia, dal rilievo e dall’affresco, è riconducibile senza dubbio al grande fiorentino. A quelle date la prospettiva brunelleschiana era ancora una novità artistica per pochi estimatori. Tra questi pochi vi era Sigismondo Pandolfo Malatesta, che con raro intuito, che non ebbe nelle questioni politiche, scelse grandi artisti prospettici brunelleschiani per i suoi cantieri: Leon Battista Alberti e Piero della Francesca. I due indizi connessi, le ricostruzioni della pianta e della veduta prospettica, rimandano necessariamente all’architetto della cupola fiorentina. Mi rendo conto che il mio contributo può essere contestato: ci vorrà ancora tempo prima dell’affermarsi di un’agnizione unanime e indiscussa, cioè prima che gli storici dell’architettura e dei castelli, italiani ed europei, riconoscano unanimemente questa favolosa paternità. Bisogna intanto continuare gli studi e le ricerche, per ridare a Rimini l’unico castello rimasto del più grande architetto italiano ed europeo di tutti i tempi. Rimini sempre più città d’arte, si presenterà al mondo con il Castello del Brunelleschi e i Tempio dell’Alberti.
Giovanni Rimondini
[Giovanni Rimondini, Brunelleschi, ecco le prove, Corriere di Rimini, domenica 29 settembre 2002, pag.36]