L'altare maggiore del Tempio Malatestiano "spostato" sotto due finestre nel 1999 e sostituito con una struttura "moderna" sia ricollocato al suo posto e così l'affresco soprastante di Piero della Francesca [9.7.2001]

DOPO IL CASO DEL DUOMO DI PISA, È POLEMICA SULLA MANOMISSIONE NELLA CATTEDRALE. LA CHIESA SI DIFENDE: COSÌ È PIÙ FUNZIONALE

Altare in metallo sostituisce quello di Napoleone E' in gioco la nostra storia Ogni intervento va regolato. Rimini, il cambio nel Tempio Malatestiano divide la città. Sgarbi attacca: «Restauri dissacranti» Dopo il caso del Duomo di Pisa, è polemica sulla manomissione nella cattedrale. La Chiesa si difende: così è più funzionale Altare in metallo sostituisce quello di Napoleone Rimini, il cambio nel Tempio Malatestiano divide la città. Sgarbi attacca: «Restauri dissacranti»

DAL NOSTRO INVIATO RIMINI - Tempio Malatestiano, stupenda cattedrale riminese. Il primo comandamento è: non nominare il nome di Sgarbi. Ogni peccato può essere perdonato, purché il «peccatore» stia bene attento a non citare il neo sottosegretario ai Beni culturali. Il cronista entra in chiesa, fuori c' è il solleone, dentro la frescura dei luoghi di devozione. Domanda: perché avete sloggiato l' altare maggiore, quello storico donato da Napoleone, per mettere al suo posto uno in metallo e travertino con lo stemma vescovile? Vittorio Sgarbi ha parlato di «dissacrazioni» nei restauri, infilando anche la vostra chiesa nella «black list», insieme con il Duomo di Pisa: lo sapevate? Ah, che sgradite curiosità. Sentendo il nome del critico, il reverendo sacerdote che ha appena celebrato la messa reagisce come se avesse visto il diavolo: «Quello è venuto qui a fare del caos, dovrebbe imparare a essere meno sgarbato». Il suo sagrestano rinforza il concetto, facendo capire chiaro e tondo che non ama i cronisti e tanto meno le macchine fotografiche. In effetti, un po' di caos c' è stato: tre settimane fa, quando l' irruente sottosegretario visitò la mostra «Il potere, le arti, la guerra: lo splendore dei Malatesta». Alcune signore lo tirarono per la giacca. Non per chiedergli l' autografo, come capita spesso, ma per invitarlo a un sopralluogo artistico. Detto e fatto, Sgarbi si infilò in chiesa e rimase allibito davanti al «misfatto». Facendo partire tuoni e fulmini contro la sostituzione dell' altare. Replica stizzita del clero presente: «Doveva preavvertire della sua venuta, così l' avremmo accolta nel modo migliore». Insomma, i reverendi hanno cercato di metterla sul galateo. Adesso il vicario generale, monsignor Aldo Amati, replica: «Ognuno ha i suoi gusti, che non si discutono. Però il nuovo altare ha una migliore funzionalità liturgica: sarà bene ricordarsi che questa è una chiesa». Nella lettera-denuncia pubblicata ieri dal Corriere, Vittorio Sgarbi spiega perché i grandi luoghi storici italiani non devono essere stravolti con il nuovo, anche se firmato da un «moderno» di valore come lo scultore Giuliano Vangi (autore del pulpito nel Duomo pisano). Tutto si può dire, ma non che l' esternazione del sottosegretario sia voce nel deserto. Stanno con lui in molti. Sono il partito di «Quelli che il Tempio», che vedono il restauro come uno sfregio alla bellezza di Rimini. Uno di questi è l' esperto di antiquariato Maurizio Balena. Ce l' ha con il vescovo che «per far posto al suo stemma ha spostato Napoleone».

Racconta l' indignazione che l' accomuna a Sgarbi, allo storico riminese Giovanni Rimondini, e «a tant' altra gente di qui». L' ammirazione per il Tempio Malatestiano è universale. Ricorda Balena: «Non c' è libro al mondo che, parlando del Rinascimento, non cominci da questo capolavoro del ' 400». Non altrettanto quella per il suo restauro. Sgarbi non se l' è presa soltanto per l' altarino comparso al posto dell' altare storico. Non gli va giù nemmeno la statua di un San Giuseppe con bambino collocata un anno fa nella terza cappella a sinistra. Rimondini lamenta che il grande Crocifisso di Giotto che sormonta l' abside sia «proprio nello spiffero dei bocchettoni del riscaldamento». Aggiunge: «Invece andrebbe protetto con cura, come in un museo. E lassù in cima, nemmeno si vede». Il vicario vescovile ribatte: «È stato messo in alto proprio per accogliere i fedeli fin dall' ingresso, dando il tono di chiesa a tutto l' edificio. E non è vero che sia a rischio per il riscaldamento. Semmai i rischi li correva quando era a portata di mano in una cappella laterale, e tutti lo toccavano». Adesso si metteranno in tanti a discutere. Ha ragione l' antiquario che parla di recupero non filologico, di eccesso di ripulitura e «marmi troppo spatinati»? È vero che la sostituzione dell' altare maggiore ha cambiato in modo arbitrario la scenografia monumentale? «Proprio no, perché l' abside è moderno, del Settecento e ricostruito nel dopoguerra», sostiene monsignor Amati. La polemica è aperta, con discussioni e contrapposizioni. Non sarà l' unica, comunque.

Il ciclone Sgarbi si è abbattuto anche sui progetti di ricostruzione del Teatro Galli: «Si farà solo com' era e dov' era». Da Rimini ha lanciato un avvertimento: «L' architettura moderna dev' essere in periferia, il restauro accurato nel centro storico». Non gli sono piaciuti nemmeno i nuovi lampioni di piazza Tre Martiri, cuore della città, quelli che per Maurizio Balena sono soltanto «dei fiammiferi impalati lì». Insomma, ce n' è da parlare attorno alla Rimini restaurata, perché il Tempio Malatestiano (Leon Battista Alberti, 1450) è uno dei simboli della città, con l' Arco d' Augusto e il Ponte di Tiberio. Vittorio Monti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. La vicenda I CASI Pisa: nel Duomo, un altare e un pulpito dello scultore Giuliano Vangi hanno preso il posto di balaustre e angeli del ' 500. Rimini: sostituito l' altare del Tempio Malatestiano

LA POLEMICA Un intervento del sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi sul Corriere della Sera di ieri ha aperto il dibattito sul tema dei restauri e della coesistenza tra arte antica e moderna nei monumenti e nelle città d' Italia

IL COMMENTO E' in gioco la nostra storia Ogni intervento va regolato di ARTURO CARLO QUINTAVALLE La grave manomissione del presbiterio del Duomo di Pisa fa riflettere, così come il disastro compiuto nel Tempio Malatestiano di Rimini dove è stato eliminato un altare napoleonico per inserire una «parure» di gelide, moderne, mensoline condominiali. Il possibile conflitto fra antico e nuovo non si limita all' interno delle chiese, ma è lo stesso che ritroviamo nelle piazze, nei palazzi, nel sistema intero delle nostre città. Certo, in apparenza Giuliano Vangi ha fatto una affermazione irrefutabile: anche noi, artisti moderni, vogliamo lasciare un segno, una traccia come hanno fatto tutte le età del passato. Ma non è in gioco la libertà dell' arte e tantomeno quella della Chiesa, ma il nostro rapporto con il passato, con la storia. Certo, alcuni artisti, come ad esempio Carlo Mattioli con il suo «Crocefisso» in San Miniato al Monte a Firenze, hanno saputo inserirsi con sensibilità nell' antico. Ma proviamo a portare al limite questo discorso: proviamo a pensare di inserire qualche grande, moderna scultura davanti al Palazzo della Signoria a Firenze o dentro la Loggia dei Lanzi. Esempio assurdo? Non tanto, potrebbe essere un progetto del futuro, se non stiamo in guardia. Quasi ovunque in Europa si tutelano i centri storici come sono, con estremo rigore, e questo accade persino negli Usa, come nel caso di Georgetown a Washington.

Dunque il vero problema è fissare caratteri, funzioni ed anche limiti al restauro: quello delle città, quello degli edifici, quello degli interni. Riflettiamo su che cosa è stato il Duomo di Pisa: il simbolo di una repubblica marinara la cui dimensione, il cui spazio, era mezzo Mediterraneo; Duomo dunque come segno di un potere che dialogava con le moschee dell' altra sponda, a cominciare da Kairouan, e come la cupola pisana ancora oggi dimostra. Al tempo stesso Duomo come grandiosa piazza interna, misurata per gli abitanti della città e magari anche del contado. In questo spazio splendido, e in particolare nel presbiterio, si sono stratificate quattro culture, quella romanica fino a metà del XII secolo; quella fra Duecento e Trecento che ripensa transetto e presbiterio inserendo qui la tomba di Arrigo VII; quella di fine Quattrocento e inizi Cinquecento con il rifacimento del coro; quella tardorinascimentale che, dopo l' incendio del 1595, riorganizza le pareti e l' abside, costruisce un grande altare e fissa il limite del sistema con la splendida balaustra a tarsie marmoree. Smontando questo segno, portando via gli angeli di Giambologna, si è «sfondato» otticamente il Duomo. Interni di cattedrali, piazze storicamente configurate, antiche città sono tutti delicatissimi sistemi dove intervenire è pericoloso e difficile; ci vuole cultura e sensibilità.

Che fare? Ripristinare al più presto non le due ma le quattro lastre medicee della balaustra e, ancor prima, stabilire una «carta» delle procedure, sempre pubbliche, di intervento sulle opere del passato.

Monti Vittorio, Quintavalle Arturo Carlo Pagina 16
(9 luglio 2001) - Corriere della Sera